Taglio del cuneo e riforma del fisco ‘raddoppiano’ la crescita dei consumi. I due provvedimenti dovrebbero infatti generare quest’anno una spinta di +5,6 miliardi di euro alla spesa delle famiglie, più della metà della crescita complessiva dei consumi prevista per il 2024 (+10,9 miliardi di euro). A stimarlo è Cer per Confesercenti.
Le misure di decontribuzione e la rimodulazione delle aliquote di imposta faranno scendere la pressione fiscale di mezzo punto, dal 42,2% al 41,7%, mettendo a disposizione delle famiglie lo spazio necessario per un aumento della spesa. A seguito di tali interventi, i consumi aumenteranno nell’anno in corso dell’1%, in rallentamento rispetto al 2023, ma comunque il doppio rispetto a quanto si sarebbe registrato in assenza della legge di bilancio. In termini assoluti, la variazione è pari a +10,9 miliardi nell’anno, di cui +5,6 miliardi attribuibili ai provvedimenti della manovra: 3,1 miliardi dal taglio del cuneo e 2,5 miliardi da quello delle aliquote. Una spinta essenziale per la crescita: proprio grazie al maggior aumento dei consumi, l’incremento del Pil nel 2024 raggiungerebbe lo 0,9%, in lieve accelerazione sul 2023.
Crescita del 2023 “salvata” dai consumi. I consumi hanno dato un contributo fondamentale alla crescita anche lo scorso anno. Tassi di interesse ed inflazione hanno condizionato pesantemente i risultati a consuntivo dell’economia italiana, e il modesto aumento del prodotto interno lordo registrato nel 2023 è stato trainato esclusivamente dai consumi, in particolare quelli turistici, che hanno contribuito allo 0,7% di crescita del PIL a fronte di un contributo degli investimenti dello 0,1% e a contributi negativi (-0,1% e -0,2%) delle esportazioni nette e delle scorte. Ma per mantenere i livelli di spesa, le famiglie hanno risparmiato meno: la propensione al risparmio è scesa al 6,2% del reddito disponibile, la più bassa degli ultimi 35 anni.
Il 2025. Le prospettive, però, restano incerte. Con una conferma dei provvedimenti anche nel 2025 la spesa delle famiglie aumenterebbe dello 0,7% con un PIL in crescita dell’1,1%. Un aumento che permetterebbe di recuperare finalmente, dopo ben 18 anni, i livelli dei consumi che si registravano prima della grande crisi finanziaria internazionale del 2007-2008. Senza taglio del cuneo, invece, le dinamiche positive rischiano di venire meno: in questo caso le simulazioni Confesercenti-CER mostrano che l’incremento dei consumi si abbasserebbe allo 0,2%, con un incremento del Pil fermo allo 0,8%.
Le prospettive dei negozi. Una mancata riconferma del provvedimento, dunque, sarebbe una notizia preoccupante per le imprese che fanno riferimento al mercato interno. In primo luogo, quelle del commercio al dettaglio che già scontano l’impatto dell’inflazione, che costringe le famiglie a spendere di più per comprare di meno: nel 2023 l’aumento dei prezzi ha portato, infatti, ad un incremento delle vendite del +1,5% in valore, con una flessione però del 2,2% in volume, pari – secondo le stime Confesercenti – a circa 9 miliardi di euro di vendite mancate. Una situazione difficile per un comparto già in sofferenza, come dimostra il crollo delle nascite di imprese: nel 2013 hanno aperto oltre 44mila nuove attività nel commercio al dettaglio, nel 2023 solo 20mila. E senza un’inversione della tendenza, il numero potrebbe ridursi a 11mila già nel 2030.
“In questa fase, i consumi interni hanno dato un contributo fondamentale alla tenuta dell’economia, e sono il motore del rilancio. Per questo, riteniamo importante iniziare a considerare già ora come reperire le risorse che consentano di rendere permanente la riduzione del cuneo contributivo”, commenta Confesercenti. “Sarebbe auspicabile anche un’accelerazione della riforma fiscale: necessario, in particolare, detassare gli aumenti retributivi. Un intervento che darebbe una mano alla contrattazione e permetterebbe alle famiglie di recuperare più velocemente il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione”.Leggi l’articolo originale