In Sardegna non nascono più nuove imprese, o meglio ne nascono pochissime e il dato è tragico: nel 2022 sono nate solo 469 nuove attività, il 33,2% in meno del 2021. Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 1500 imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, più di 2,7 al giorno, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 1000 unità. È quanto emerge dalle elaborazioni condotte da Confesercenti sui dati resi disponibili dalle fonti camerali, che per la Sardegna segnano il drammatico segno negativo, il peggiore d’Italia.
Il crollo delle aperture. Mentre il numero di chiusure è in linea con quello rilevato negli anni pre-pandemia, il dato delle aperture del 2022 è il più basso degli ultimi dieci anni, inferiore dell’otre 40% al valore del 2012. Da evidenziare che il calo delle nuove aperture in Sardegna è il più alto di tutte le regioni italiane (-33,2% rispetto al 2021), seguono Piemonte (-29,3%) e Umbria (-27,3%).
Il saldo sui territori. La desertificazione delle attività commerciali colpisce tutto il territorio sardo. In termini assoluti, a registrare la perdita più rilevante è la provincia di Cagliari con un saldo negativo di -277 negozi; seguita da Sassari con -141 unità.
La perdita di servizio. Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del -12,7% circa (- 3.634 imprese). Nonostante questo la Sardegna al 31/12/2022 resta ai primi posti tra le regioni italiane per numero di negozi ogni 1000 abitanti (14,4); superata in questa particolare classifica solo dalle regioni del sud-Italia Sicilia, Calabria, Puglia e Campania.
A riguardo ci sembra utile segnalare che se la Sardegna si dovesse allineare alla media nazionale (12 esercizi ogni mille abitanti) andrebbe a perdere di colpo ulteriori 3900 esercizi.
“Non c’è stato purtroppo uno slancio positivo dopo la pandemia per piccole imprese del commercio al dettaglio, ci riferiamo alle aziende di cui alla divisione G47 del registro delle imprese – afferma Gian Battista Piana Direttore regionale Confesercenti– I grandi gruppi e l’online continuano a farla da padroni ed è sempre più difficile anche solo pensare di poter aprire nuove attività. In tanti rinunciano a priori e i dati lo dimostrano chiaramente. Le chiusure sono in linea con i dati degli anni precedenti, ciò che viene a mancare sono le nuove aperture che hanno subito un vero e proprio crollo.”
“Sono tanti i potenziali imprenditori che rinunciano ad aprire una nuova attività e i dati parlano chiaro”, spiega Roberto Bolognese, Presidente di Confesercenti. “Il rischio più grande è che si cancelli in pochi anni il pluralismo del sistema distributivo e i servizi per i cittadini: e la cosa è ancora più tragica quando proprio la pandemia ha dimostrato il valore e l’importanza della rete dei piccoli negozi – dagli alimentari alle edicole – soprattutto in territori, come i Comuni sardi, dove spesso per poter raggiungere la grande distribuzione ci si deve spostare nei comuni più grandi o nei capoluoghi. Il ciclo produttivo, ma anche quello consumistico, devono avere una loro sostenibilità ed un loro equilibrio. Cosa sarebbero le nostre città senza negozi? Essi sono occasione di socializzazione, sono il presidio di controllo passivo, sono luce e colore, sono economia circolare e servizio di prossimità: si può dire che appartiene alla nostra vita. Ecco perché non è un problema circoscritto ad un settore ristretto di addetti ai lavori, ma è un problema sociale che riguarda le nostre abitudini, il nostro ambiente, il nostro stile di vita, le nostre città, così come i piccoli centri con le loro tradizioni e la loro storia”
Infine aggiunge: “Al di là delle semplici enunciazioni, è necessario dare un significato ai principi della Legge 5 sull’equilibrio tra sistemi distributivi a tutela dei piccoli negozi di vicinato perché la liberalizzazione non significa deregulation o peggio la legge del più forte. È fondamentare incentivare l’apertura di piccoli negozi sia a inserirsi nel mercato, ma anche e soprattutto restarci produttivamente, magari puntando sulla formazione imprenditoriale e sul tutoraggio delle start-up da parte delle associazioni di categoria”.