È la cucina italiana la più influente sulle tavole internazionali. A sostenerlo è il settimanale inglese The Economist che ha pubblicato, nelle scorse settimane, un’analisi sulla “gravità” – il valore specifico – delle diverse cucine nazionali, misurata sulla base di quel che mangiano fuori casa gli abitanti del mondo. Numeri che non indicano, però, un valore economico: misurano solo il peso specifico, la “gravità” appunto, dell’influenza delle cucine nel mondo. Cioè della sua influenza culturale sulle tavole nei diversi Paesi sparsi per il Pianeta.
Tra le fonti ci sono i dati di Euromonitor sulle spese che vengono sostenute in pranzi e cene in una dozzina di tipologie di fast-food e anche le liste stilate da TripAdvisor per i ristoranti di centinaia di città su una copertura dell’89% del prodotto lordo globale.
Secondo un approfondimento sul tema pubblicato dal Corriere della Sera emerge che – escluso il fast food – l’Italia ha “un surplus” tra export e import pari a 158,2 miliardi di dollari”.
Nella classifica, al secondo posto troviamo – ben distanziato – il Giappone, con un bilancio positivo di 43,9 miliardi; quindi il Messico con 16,9; Turchia con 16,7; Thailandia con 11,1. “Gli Stati Uniti – si legge nell’analisi – sono all’ultimo posto in questa classifica delle esportazioni nette dei modelli di cucina nazionale: negativi per 133,8 miliardi di dollari”. Il divario con gli Usa resta se si considera anche il fast-food, perché l’Italia continua a detenere il primo posto assoluto, “anche grazie alle catene di pizza”, con un export netto (esportazioni meno importazioni) di 168,2 miliardi; mentre “gli Stati Uniti rimangono all’ultimo posto con 54,8 miliardi di deficit”.