Il caro vita fa frenare i consumi. L’erosione del potere d’acquisto e dei risparmi inizia a incidere sulla spesa delle famiglie che, se non ci saranno inversioni di tendenza, dovrebbe diminuire nel secondo semestre di -3,7 miliardi rispetto ai primi sei mesi dell’anno.
È quanto emerge dalle previsioni elaborate dal Centro Europa Ricerche per Confesercenti.
A causa della frenata del secondo semestre, a fine anno la crescita complessiva della spesa delle famiglie dovrebbe attestarsi sul +0,8%, contro il +4,6% dello scorso anno. A penalizzare le scelte di consumo una combinazione di fattori. In primo luogo, il lungo periodo di alta inflazione, che ha ridotto la capacità di spesa degli italiani: il rientro è in atto, ma è meno veloce di quanto atteso, con un aumento tendenziale dei prezzi che ad agosto si è confermato ancora sopra la soglia del 5% (+5,4%). All’erosione del potere d’acquisto si aggiunge quella dei risparmi, utilizzati dalle famiglie nella prima fase dell’aumento dei prezzi per mantenere i livelli di consumo precedenti: un margine di manovra che, dopo quasi due anni di corsa dei prezzi, si è ormai fortemente ridotto.
A frenare i consumi anche l’aumento dei tassi di interesse portato avanti dalla BCE, ormai giunta al decimo rialzo consecutivo: una decisione presa per contrastare l’inflazione, ma che purtroppo influenza negativamente la capacità di spesa delle famiglie – in particolare di quelle con un mutuo a tasso variabile – impattando sulla crescita complessiva dell’economia. L’aumento dei tassi di interesse arriva inoltre in quadro di rapido peggioramento dell’economia. I fattori propulsivi della ripresa post pandemica si stanno spegnendo, con un forte indebolimento, in particolare, degli impulsi provenienti da esportazioni e investimenti, il cui contributo alla crescita del PIL è in calo.
La variazione del Prodotto interno lordo torna quindi a dipendere in massima parte dalla dinamica dei consumi, purtroppo in rallentamento. La quota complessiva dei consumi sul PIL dovrebbe attestarsi al 59,3%, dal 59,8% dello scorso anno, ma al netto dell’inflazione darebbe un contributo reale del 58,4%, il più basso dall’inizio del secolo (nel 2000 era il 59,9%).
Nel complesso, questi andamenti abbasserebbero la crescita del PIL del secondo semestre al +0,1%, dall’+1,2% del primo semestre. Su base annua la crescita 2023 si arresterebbe quindi allo 0,7%, contro l’1% fissato come obiettivo nel DEF.
Invertire la tendenza è possibile, me occorre agire tempestivamente. Per riportare la crescita in linea con gli obiettivi occorrerebbe una maggiore crescita dei consumi di 4 miliardi nel secondo semestre, con contributo alla crescita del PIL che salirebbe da 0,6 a 0,9 punti. Considerando che la propensione al consumo è oggi pari al 93%, questo aumento di spesa potrebbe essere ottenuto detassando per 4,3 miliardi le tredicesime. Un minor introito che però verrebbe parzialmente recuperato: la maggiore crescita e la maggiore spesa per consumi generate dalla detassazione delle tredicesime porterebbero ad un aumento di gettito di 1,3 miliardi, riducendo il costo del provvedimento per il bilancio pubblico a 3 miliardi.
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