A rischio rinnovo migliaia contratti a tempo determinato
La riforma degli ammortizzatori sociali va bene, ma solo se non comporterà aggravi aggiuntivi per le imprese. Più urgente, comunque, resta sciogliere il nodo della cassaintegrazione: se non verrà prorogata, nel commercio non alimentare, nella somministrazione e nel turismo, migliaia di contratti a tempo determinato potrebbero non essere rinnovati a settembre. E anche la posizione dei lavoratori a tempo indeterminato è fragile: fino a 2 su 10 potrebbero perdere il posto.
A lanciare l’allarme è Confesercenti, sulla base di un sondaggio condotto su un campione dei propri associati.
La ripartenza è stata sotto le attese. Il mix di smartworking e assenza di turisti ha portato ad una crisi profonda del tessuto di imprese di vicinato e ricettive, in particolare nei centri storici delle città d’arte e nei quartieri ad alto tasso di uffici.
La priorità, in questa fase, deve essere disinnescare rapidamente la bomba lavoro: in questi settori, infatti, sono attualmente attivi 496mila contratti a tempo determinato. Occorre dare a imprese e dipendenti la tranquillità e la flessibilità necessarie per portare avanti un riavvio estremamente difficile, soprattutto per le piccole attività di prossimità che ancora soffrono l’onda lunga dell’emergenza Covid 19. Prima di procedere alla riforma, valorizziamo l’attuale assetto degli ammortizzatori sociali e procediamo, urgentemente, alla proroga per almeno altre 18 settimane delle integrazioni salariali e alla sburocratizzazione delle procedure INPS, con contestuale finanziamento delle misure di emergenza.
Ci sarà tempo, nel prossimo futuro, quando potremo permetterci come sistema paese le riforme strutturali, per mettere mano al sistema del sostegno al reddito. Si dovrà ipotizzare una riforma graduale che incida sul sistema per garantire una più efficiente gestione delle domande di accesso alle integrazioni salariali (CIG e fondi di solidarietà bilaterali), una modalità unica a livello nazionale di accesso con una responsabilità di un unico contact center, evitando differenze tra territori e filiere, una struttura variabile della contribuzione a seconda delle dimensioni dell’impresa, del territorio e del mercato in cui opera. Deve essere, però, un intervento senza costi aggiuntivi per le imprese, che già pagano caro il lavoro: il cuneo fiscale a carico delle imprese, lo scorso anno, ha raggiunto quota 142 miliardi di euro. Un carico già ai limiti della sostenibilità, che deve essere ridotto, e non aumentato.
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